24/12/13

Auguri?




Dato il proliferare di auguri natalizi, non posso esimermi di farli pure io. 

A modo mio. 





18/12/13

Riflessione sui mostri


Anche oggi è uno strano orario, per me, amico mio, ma a quanto pare questi strani giorni influiscono in maniera negativa sui miei ritmi, quindi è più facile trovarmi dietro la finestra, ovviamente sempre socchiusa così che tu possa spiarmi da dietro l'oleandro, al mattino piuttosto che la sera.

Dopo quanto ti ho detto ieri ho pensato molto ai mostri.

Esistono diversi tipi di mostri.

I peggiori sono quelli che non lo sembrano.

Sono tutt'attorno a noi, e se guardi con attenzione potrai individuarli. Ci vuole pratica, occhio allenato, una sensibilità particolare. Vedrai, amico mio, che se fai attenzione sono davvero ovunque. Si nascondono dietro falsi sorrisi, sguardi ammiccanti, promesse mancate e bugie.

Se farai molta attenzione ti accorgerai di sorrisi a cui gli occhi non vogliono collaborare, di sguardi furtivi che studiano le tue reazioni per individuare l'attimo propizio per affondare una metaforica stilettata, di parole inevitabilmente prive di sostanza e di realtà alternative, che per un minimo dettaglio sembrano provenire da un universo parallelo.

Sono questi i mostri a cui devi prestare maggiormente attenzione, amico mio, ma in realtà non sono questi i mostri di cui volevo parlarti.

Da sempre, per sempre, l'uomo ha bisogno di mostri. Ha anche bisogno di dei, ma questo è un altro discorso, seppure viaggi su binari paralleli.

Abbiamo bisogno dei mostri, amico mio, e le ragioni sono molteplici.

Il brivido che scorre lungo la schiena con il tocco lieve di dita morte, che fa accapponare la pelle e rizzare i capelli sulla nuca, è un sottile, perverso piacere a cui non siamo in grado di resistere.

Inoltre i mostri ci fanno sentire migliori.

Confronto a loro, possiamo mantenere viva l'illusione di non esserlo noi stessi, dei mostri, seppure i mostri peggiori sono proprio quelli che si nascondono nel fondo della nostra mente, che nascondiamo a tutti, che spesso celiamo pure a noi stessi, troppo orribili anche solo per ipotizzarne teoricamente l'esistenza.



"Che ognuno vi incontri ciò che più gli sta a cuore e che tutti vi si smarriscano." Così scrisse della sua creatura Vicino Orsini, colui che diede vita ad una delle più grandi suggestioni in cui ci si possa imbattere.

Il Parco dei Mostri, o Bosco Sacro, giardino apparentemente selvatico popolato da grottesche, enormi creature di pietra, precipita in un percorso di meraviglia e paura.

Un luogo dove i mostri sono reali, immersi in una dimensione onirica in cui è facile perdersi.

Un giorno, amico mio, ci andremo assieme e non sarò io, ma tu, a raccontarmi di mostri.








Tu ch'entri qua pon mente
Parte a parte
E dimmi poi se tante
Meraviglie sian fatte per inganno
O pur per arte.

Vicino Orsini
1523-1585


Sito ufficiale del Parco dei Mostri

17/12/13

Mostri



Strano orario questo, per me, amico mio.

Fuori un'alba color del sangue si fa strada cancellando le ultime vestigia di una notte agitata, piena di sogni che, uno dopo l'altro, mi hanno trascinata in un abisso di ansia ed angoscia e che, ancora, non mi da tregua.

Non c'eri, fuori dalla mia finestra, quando avrei avuto bisogno di una presenza per cancellare l'orrore della pazzia che avanza.

O forse eri là, ed osservavi, fedele al compito di voyeur che ti ho affidato ormai svariati mesi or sono, godendo della sofferenza che, con sadismo chirurgico, mi infliggo notte dopo notte, quando il sonno cancella ogni difesa, lasciando liberi i mostri che vivono dentro di me.

Che sono me. 

Che mi divorano. 

Una delle inquietanti presenze del Parco dei Mostri di Bomarzo

Emozioni. Non ne ho mai abbastanza. E' la mia maledizione. Sempre più intense e travolgenti, fino ad assefuarmi ad esse, fino a non riuscire più ad avvertirne.

E' come una droga. Ne voglio sempre più, sempre di più intense, al punto che nulla è in grado di emozionarmi, se non le visioni folli che scaturiscono dalla mia mente malata, durante la notte.

Ad accompagnare i sogni la certezza di una presenza, che osserva, e non sei tu, amico mio, è lei, la Bestia, che come te gode del vedermi rantolare nel letto, e la sua voce che, suadente, mi chiama, mi impone di raggiungerla, in un luogo da cui so non esserci ritorno.

Per questo sono qua, amico mio, questa mattina, quando fuori non c'è traccia di nebbia ed io non dovrei essere. Sono qua per cancellare quella voce che mi chiama, perché so che se l'ascolterò troppo a lungo, finirò per seguirla.

E quando accadrà tu, figlio della mia schizofrenia, cesserai di esistere, e per me non ci sarà ritorno.





11/12/13

Aforisma #1










Provo grande invidia nei confronti di coloro che credono fermamente nell'esistenza del tizio del piano di sopra, perché costoro hanno sempre qualcuno su cui scaricare la colpa. 

Porco Caos non suona bene, e soprattutto non è altrettanto liberatorio. 



Cit. Me Medesima








05/12/13

Lobotomized






Giusto per esplicare alcuni dei miei pensieri della serie: "ai confini della realtà" quest'oggi mi è venuta voglia di ampliare il discorso che ho accennato nel post di ieri, riguardo le pubblicità straniere e quelle de "noartri".

Giusto per dimostrare come, probabilmente, noi italioti siamo ormai lobotomizzati, cerebrolesi, assuefatti ad ogni bassezza commerciale.

Dove all'estero viene prodotta arte a noi rifilano improbabili pupazzetti animati e spazzatura.

La mangiamo e ringraziamo anche.

Che vuoi farci, amico mio, ognuno ha quel che si merita.



Noi: 

Loro: 

...

Noi:

Loro:


Loro:

...

E per smentire quanto detto sopra, voglio chiudere con una compilation di mini spot trash che, pur essendo stranieri, non stonerebbero per nulla sui nostri schermi. 


E ricordati, amico mio, di non essere mai troppo veloce a trarre giudizi affrettati! 

Io non lo farò. 




Giorni strani



Sono giorni strani, questi, amico mio.

Giorni in cui ogni cosa mi risulta sgradita, pesante. Qualsiasi cosa sia, solitamente, piacevole, in questi giorni mi suona come un dovere, imposto da una volontà superiore che non riconosco e a cui non posso fare a meno di ribellarmi.

Seppure non sia particolarmente facile ribellarsi a qualcosa che non sai neanche che sia. Più che altro è frustrante.


...


Ho passato l'intera esistenza a ribellarmi a qualsiasi cosa.

Convenzioni sociali, famiglia, doveri imposti da usanze in cui non mi riconosco, ruoli e schemi precotti, qualsiasi cosa ci si aspettasse da me è stata puntualmente disattesa.

E questo si evidenzia particolarmente con l'avvicinarsi del periodo festaiolo, quando tutti hanno un sorriso tale prestampato in faccia da chiederti in quale momento, assolutamente inconsapevolmente e per errore, hai varcato la porta che conduce in una realtà parallela dove viene distribuito gratuitamente LSD nell'acqua potabile e per quale fottuta ragione tu sia l'unica a non godere di tal benefico trattamento.




L'incalzante aumento di pubblicità natalizie mi mette di malumore, sentire una foca parlare con la voce stridula di una comica piemontese non mi diverte, al massimo mi fa pentire di aver acceso la televisione, oltre a ricordarmi perché non la guardi mai.

Poi, masochisticamente, comparo le pubblicità dei palinsesti stranieri delle medesime compagnie che asfissiano noi e mi chiedo anche se noi italiani siamo ritenuti tutti degli emeriti deficienti, dalle suddette, la verità è che lo siamo davvero ma questo è discorso che non ha niente a che vedere con questi strani giorni che sto vivendo.


...


Sono giorni strani, questi, amico mio.

Giorni in cui mi guardo attorno e mi vedo circondata da alieni, non mostri, bensì creature grottesche nella loro puerile uniformità a cui io non appartengo, e mi chiedo se gli alieni sono loro, o se l'unico alieno, in questa strana realtà fatta di sorrisi, luci, colori e canzoncine idiote, sono io.

E nel mio insano, assoluto egocentrismo, non può esistere che una sola risposta, mio caro amico.


...



...



...



...



...



...



...



Cosa provi, ora che sai di essere irrimediabilmente,
                                                             insanabilmente,
                                                                       inguaribilmente 
                                                                                          pazzo?








02/12/13

Deep inside


Quante volte, in questi mesi, ti sei fermato nel giardino, dietro l'oleandro sotto la betulla, a spiare la mia finestra, amico mio?

Nera bocca spalancata su un urlo silenzioso, non c'era la tenda socchiusa apposta per permetterti di spiare, non c'era la danza tremula della candela accesa ad illuminare la mia pelle e non c'ero io, a spogliarmi per te, brandello dopo brandello, fino a lasciare nulla più che bianche ossa e tetre emozioni.

Lo so che sei venuto molte volte, lo so perché tu sei figlio della mia insania, e sei esattamente come io ti voglio, e io ti voglio così, presente nella mia esistenza, là fuori a spiarmi, osservarmi famelico, in attesa che strappi via ancora un altro pezzetto di carne per arrivare più a fondo, fino a portarti proprio sull'orlo del baratro.

Conosco la delusione che hai provato, nel vedere solo quel buio osceno, e la sofferenza di non trovarmi, perché è la stessa che provavo io a non esserci, ma del resto io sono così, sadicamente malata, ed è dolce sopportare il dolore se è condiviso con te, che sei la mia creatura, figlio, amico e amante.

...

"Noi non siamo brave persone, per questa ragione non riusciamo mai ad essere felici."

La meravigliosa creatura che mi disse questa frase, molti anni fa, ora lo è diventata, una brava persona, sempre che esserlo significhi avere un lavoro serio e ben retribuito, una compagna e dei figli da amare.

Io no, continuo a non essere una brava persona e continuo a non essere felice.

Ci sono momenti in cui mi sembra quasi di riuscirci, ad essere felice, ma sono istanti effimeri, durano il batter di ciglia e poi svaniscono.

Spesso ho bisogno di silenzio. E' necessario, per elaborare i pensieri. Così chiudo il mondo fuori dalla porta di casa e rimango sospesa in un limbo fatto di nulla, a ricostruirmi pezzo per pezzo, nel tentativo di trovare un nuovo ordine nel caos e riemergere diversa da ciò che sono.

E' inutile dire che non ci riesco mai, così ciclicamente torno a nascondermi nella nebbia, strattonata da troppe diverse volontà discordanti, sperando che esista un essere superiore in grado di scorgermi e strapparmi fuori da questo meccanismo incantato, che come un disco rotto continua a ripetersi all'infinito, senza possibilità di scampo.

"Tutto questo perché sei pazza furiosa, da internare e buttare la chiave." Dice Vocina, che è un po' un disco rotto pure lei, nella sua monotonia di argomentazioni ripetitive.

Forse, però, questo è solo un alibi per mascherare la verità più scomoda in assoluto, che è tutto semplicemente egoismo ed incapacità di volere bene, per cui si usano le persone fino a quando sono capaci di fornire un minimo di svago, poi si lasciano alle proprie spalle, come giocattoli vecchi.

Ma se è solo egoismo, allora per quale dannatissima ragione la mia mano non riesce ad afferrare alcun appiglio ed io precipito in una voragine che mi trascina via dal mondo, e da te?

Annego


Deep inside me


27/11/13

Non è semplice


"Sarebbe tutto molto più semplice, se ammettessi quello che vuoi."

La sommamente rompipalle Vocina torna alla carica, come al solito, approfittando di un mio momento di disattenzione.

"Lo farei anche, se solo sapessi cosa voglio realmente."

Le rispondo, sfinita per le sue continue insinuazioni.

"Ma tu sai perfettamente cosa vuoi, è che sei troppo vigliacca per ammetterlo."

"E smettila di rompere, se dice che non lo sa non lo sa." Dalla gabbia in cui la tengo rinchiusa Sophia, o, come preferisce lei, Psiche, ribatte rabbiosa, perennemente arrabbiata con il mondo intero.

"Ha ragione la bestiolina nella gabbietta. Sei solo una pedante, bigotta rompicoglioni." Rincara la dose Orea, incapace di tenere la bocca chiusa almeno una volta, costantemente provocatoria.

"Se davvero ti piace tanto, la piccola, adesso apro la gabbia, così potete fraternizzare meglio."

Provo ad urlare un "no", ma la voce è soffocata dallo sbigottimento che mi ha assalita a vedere le coinquiline del mio condominio cerebrale litigare fra loro come teppistelli, e non faccio a tempo a fermare Vocina che, rapida, apre il chiavistello che assicura la porta della gabbia in cui tengo rinchiusa la parte più rabbiosa delle tante me.

Immediatamente, accompagnandosi con un grido famelico, Sophia (o Psiche, come preferisce lei) si avventa su Orea gridando:

"Chi è che sarebbe una bestiolina?"

Norma, dal canto suo, non è capace di tenersi fuori dalla mischia, e improvvisamente il condominio si tramuta in una rissa da stadio, groviglio di arti, capelli, unghie e denti che non lesinano colpi bassi.

In un angolino, ben nascosta, c'è l'altra me, quella più fragile e delicata, che si nasconde. Non ha il coraggio di parlare, né di intromettersi nella mischia, semplicemente trema, nell'ombra, pregando che nessuna delle sue sorelle si accorga della sua presenza.

Le lascio litigare e me ne vado a dormire, che facciano quel che vogliono, io non voglio altro che silenzio.



Lui è davanti a me.

Un qualsiasi signor nessuno, dall'aspetto qualunque.

Non mi tocca, ma lo sguardo castano mi preme contro la parete alle mie spalle, così forte che non riesco quasi a respirare.

Non ci sono parole, in questo attimo, non servono parole quando quegli occhi da demonio già dicono ogni cosa.

La mano destra si alza fino al mio viso, lo sfiora fino a scivolare sul mio collo, cinge la mia gola, ferma, decisa, ma non violenta.

Non serve neanche la forza, finché rimango immobile, bambola fra le sue mani.

La sinistra scorre sul mio corpo senza gentilezza, sui miei seni, fino a fermarsi fra le mie cosce.

Si avvicina al mio orecchio con le labbra.

Mi sveglio di colpo, madida di sudore, tamburi suonano nelle mie orecchie, sapore metallico di sangue che scivola nella mia gola, la Vocina che ancora rimbalza nella mia testa, all'infinito.

"Sei sicura di non sapere cosa vuoi?" 

"Sei proprio sicura di non sapere cosa vuoi?"

"Sei ancora sicura di non sapere cosa vuoi?"





11/11/13

Nebbia









Ci sono momenti in cui la nebbia è così fitta che quanto è celato al suo interno rimane un mistero.
Tanto fitta da avvolgere quanto nasconde come in un freddo, umido sudario.
Ciò che è segretamente custodito muta e c'è un momento in cui come crisalide squarcia il velo.
Adesso non è quel momento.
Non ancora.



...




Non so cosa sia successo sta notte ad Antonio Bay,
dalla nebbia è uscito qualcosa che ha cercato di distruggerci
e improvvisamente è svanito. 
Ma se tutto questo non è stato solo un incubo
da questo momento nessuno andando a letto sarà più sicuro di risvegliarsi vivo.
A tutte le barche al largo che ricevono la mia voce io dico
tenete d'occhio il mare,
scrutate l'oscurità,
la nebbia è in agguato.

Jhon Carpenters 
"The Fog"     
1980        







17/08/13

02/08/13

2*8*1980


Anche se il Blog è chiuso per ferie ci sono momenti che non vanno dimenticati. 









Incise nella pietra e nel vetro, macerie urlano una vendetta che non troverà mai soddisfazione. 






Il macellaio continuerà a ridere, nel retro della sua bottega. 






Ma ancora oggi, dopo trentatré anni, in quel luogo il tempo si è fermato. 

E la memoria piange. 

Sui giornali, in prima pagina, in seconda, in terza, solo vaneggiamenti su una condanna beffa. 

E devi scendere in terza o quarta, perché qualcuno ricordi la beffa più grande. 

La morte della giustizia. 






31/07/13

Agosto





Anche se non sarò mai troppo lontana da un computer da non sbirciare di tanto in tanto
Anche se non sarò mai così lontana da uno smartphone da non poter scrivere, se mi viene voglia.
Questa non è stagione per la Nebbia. 

Il caldo rende proibitivo l'utilizzo massivo di alta tecnologia
Un buon libro produce decisamente molto meno calore di un PC e si può maneggiare anche sui colli
Leggere richiede meno dispendio energetico che scrivere.

Ci rivediamo a settembre. 
Forse. 
Quando sarà di nuovo il momento della nebbia. 

Non fate i bravi! 



27/07/13

Il fiume e la nebbia

Senza parole... 








Qui non è successo niente
e non credo cambierà
come quest'acqua tra le sponde
non si ferma, ma in realtà

non ha mai cambiato il senso
e del resto come può
a quel mare io ci penso
ma mi fa paura... un po'. 
Qui non è successo niente
e non credo cambierà
e non è colpa della gente
è il cielo grigio che c'è qua

è questa nebbia che confonde
e che ci inghiotte sempre un po'
e con amore ci nasconde 
in una parola è il Po

E' per colpa di quel fiume se io sono ancora qui
perché un giorno c'era un ponte che univa gli argini
mentre adesso questo fiume in fondo è tutto ciò che ho
e tra diecimila anno è sempre qui che aspetterò

Perché in fondo il mare ha un lato
un solo lungo lato blu
e anche lo sguardo più allenato
non può vederne mai di più

mentre chi vive accanto a un fiume
anche se è grande come qui
vede benissimo il confine
e non può credere ai miracoli

E' per colpa di quel fiume se io sono ancora qua
perché un giorno su quel ponte mi fermai a metà
e quest'aria che mi opprime in fondo è tutto ciò che ho
fino a quando l'altro lato dei miei sogni troverò

Qui non è successo niente
e non credo cambierà
come quest'acqua tra le sponde
non si ferma, ma in realtà

non ha mai cambiato il senso
e del resto come può
a quel mare io ci penso
ma mi fa paura... un po'.



Daniele Silvestri
Il Fiume e la Nebbia




25/07/13

Il buco #5 (paragrafi 13 e 14)


13.

Mi sveglio di colpo, madido di sudore. Il televisore trasmette un vecchio film di guerra in bianco e nero, e l’intera stanza (terra) è illuminata da una luce grigia. Non ci sono più colori perché tu, laida presenza nascosta nel buco, li hai assorbiti tutti, goccia per goccia.

E mi osservi, dal tuo sicuro riparo.

Ma io ora lo so come fermarti.

E non sarò così scemo da disporre delle inutili trappole.

Mi alzo.

Lo specchio del bagno mi rimanda l’immagine di uno sconosciuto.

Tolgo la camicia e la ripongo nel cesto della biancheria.

E adesso siamo soli, io e te.

Adesso

Ti massacro

Ti stritolo

Ti schiaccio

E tu muori

Muori

Muori cazzo!

Si! MUORI!!!


14.

La città si è tinta di un grigio smorto.

Serpeggio fra un’auto e l’altra, evitando il contatto diretto dello sguardo con i lampeggianti blu, per non restare abbagliato.

Davanti al portone, ferma, con le porte posteriori spalancate, c’è un’ambulanza bianca e rossa, circondate da alcune auto della polizia, che le bloccano la strada in caso debba partire di corsa.  

Il poliziotto in divisa che sta sulla porta mi riconosce al volo, e mi dice di salire al terzo piano.

La porta è aperta (sfondata) su un salotto illuminato solo dalla luce che proviene da una televisione. L’Ispettore Capo mi attende all’interno e mi scorta lungo un corridoio tappezzato dal volto di alcuni poliziotti che conosco bene.

Sembrano secoli, ma alla fine attraverso lo spazio angusto, sfiorando con le spalle i corpi dei presenti, che appiccicati alle pareti sembrano poster sbiaditi.

Faccio un cenno di saluto a Fabbri, che ricambia controvoglia, poi do una pacca sulla spalla a Lazzarini, che al mio tocco si accascia contro la parete, quasi a volervi sprofondare dentro. Non vedo il suo collega, quell’idiota di Santi, ma non può essere molto distante.

Ecco, nell’oscurità prende forma e lo vedo.

Metà dentro e metà fuori dal bagno.

Un buco.

Rosso.

Che sembra un fiore di carne.

Che divora ogni colore, lasciando tutt’attorno solo grigio.

Un buco rosso. Che sembra un fiore di carne in cui gocciola ogni colore del mondo.

E al suo interno spunta metallica una lama, come una spina.

Una spina metallica. Al Centro di un buco. Nel centro di un torace. Nel centro di un uomo. Nel centro della porta del bagno. Nel centro di un palazzo. Nel centro della città. E scommetto che salendo ancora, su, fino oltre l’universo. Nel centro dell’universo ci sarebbe solo quel buco.

Alzo lo sguardo e fisso Fabbri, che sembra quasi sul punto di piangere.

Mi avvicino al corpo ed inizio i primi rilevamenti, temperatura interna, rigidità cadaverica, ora presunta della morte, compatibilità della ferita e della posizione dell’arma con un colpo auto inflitto. Riferisco al Capo ogni cosa, tranne un dettaglio. Dopo aver conficcato il coltello nello stomaco, puntato verso l’alto, passando dietro lo sterno come a voler raggiungere direttamente il cuore, la vittima lo ha roteato più volte nella ferita, creando quel buco slabbrato, rosso, che sembra un fiore.

Mentre proseguo il mio esame poso delicatamente un fazzoletto bianco sul volto della vittima. Noto compiacimento nei poliziotti presenti, che non sanno che non è un gesto di riguardo, ma l’incapacità di sopportare quegli occhi sbarrati che mi fissano, e quel ghigno sadico che contrae le labbra, schiuse su una fila di denti bianchi, come se fosse sul punto di scattare verso la mia gola ed azzannarmi.

Sto scarabocchiando il certificato di morte quando, con la coda dell’occhio, proprio là, sul fondo del bagno, noto un movimento fulmineo. Grido e lascio cadere la penna, mentre l’indice destro tremante si punta accusatorio verso un cumulo di plastica abbandonato al suolo.

Il Capo ridacchia, scavalca il cadavere e con un piede smuove quel che altro non è che la tenda della doccia, strappata dai suoi supporti e gettata a terra, chissà per quale motivo, rassicurandomi che non c’è nulla di cui aver paura, ma che comprende come io possa avere scambiato un riflesso sulla plastica traslucida per una presenza inquietante.

Percorrendo il Centro di Bologna ci si può
imbattere in canali a cielo aperto, proprio come
a Venezia. 
Gli infilo in mano il certificato di morte, e scappo via da quell’appartamento, incurante del sarcasmo che ho suscitato nell’Ispettore. Corro giù per le scale, come uno scolaretto si avventa verso l’uscita al suono della campanella e mi ritrovo in strada.

Alzo il capo al cielo, a lasciare che la pioggia grigia mi lavi di dosso quella sensazione di orrore che mi ha assalito e mi accendo una sigaretta.

Calmati, sei solo scosso. In fin dei conti non capita tutti i giorni di vedere un uomo che si trasforma in un buco.

Mi incammino per le vie del centro, diretto all’obitorio, e d’improvviso avverto un formicolio alla nuca.

Mi giro di scatto ma non c’è nessuno dietro di me, nessuno davanti a me, nessuno neanche affacciato alle finestre del vicoletto del vecchio ghetto ebraico.

Nessuno. Non c’è nessuno.

Eppure so che se anche i colori torneranno al loro posto, prima o poi, il mondo non potrà mai più essere lo stesso, dopo la comparsa di quel buco. 






Fine?

24/07/13

Il buco #4 (paragrafi 10, 11 e 12)



10.

Mi sembra di non dormire da anni.

La corsa in moto non mi aiuta a schiarire i pensieri, e quell’immagine, che ormai accompagna ogni singolo istante della mia vita, corre più veloce dei 220 cavalli che rombano sotto al mio culo.

La porta a vetri della centrale mi restituisce la faccia di uno sconosciuto.

I vicoli del Ghetto Ebraico. Di notte sono bui e angusti.
Un brutto ceffo, dalla barba sfatta da troppi giorni per essere volutamente trascurata, capelli che reclamano urgentemente un pettine, camicia stazzonata sotto al giubbotto di pelle. Da mollargli il portafogli senza che te lo chieda, se lo incontri di notte nei vicoli bui del vecchio ghetto ebraico.

L’ufficio è pigramente immerso nella solita penombra fumosa.

Fumosa, certo. La legge è uguale per tutti tranne che per noi sbirri e il divieto di fumare negli uffici pubblici vale ovunque tranne qua.

Se sei così stronzo da finire in gabbia qua dentro puoi anche morire per fumo passivo, ma se hai appena sbattuto in cella una puttana rumena che ha infilzato il fermacapelli nell’occhio destro del protettore insoddisfatto dei suoi introiti, non esiste legge al mondo che possa privarti di una sigaretta. Ed anche di un bicchiere di qualcosa di forte. Molto forte.

Fabbri è riapparso. Mi saluta. Con imbarazzo. Sa che l’ho visto quasi piangere. Lui, la roccia, lui che ci ha cresciuti tutti e ha salvato le chiappe di metà di noi. Stava per frignare come un infante.

E’ qualcosa che cambia i rapporti fra colleghi, questa.

Per darmi un contegno vado a frugare fra i verbali della notte precedente.

Due furti con scasso.

Una rissa fra ubriachi.

E questa? Questa è carina.

Un tizio è stato denunciato da Andreina, un vecchio trans che batte in fiera e che ho fermato ormai un miliardo di volte. A quanto pare, sto pirla aveva portato Andreina a casa, dove ad attenderli c’era una recalcitrante consorte da convincere di quanto possa essere piacevole prenderlo in culo. Me l’immagino, con il tono da checca isterica, gridare che lei non è mica un’esibizionista, e se questi etero schifosi hanno bisogno di emozioni forti, per godersi la vita, che trovino qualcun altro per simili porcate (o almeno alzino di molto la parcella)Riesce persino a strapparmi un sorriso sghembo, il primo dopo non ricordo più quanto.

Ecco. Ci siamo. A rapporto davanti all’Ispettore capo. Non ride, non sorride neanche. Nessuna traccia di scherno, e neanche biasimo.

Sto rigido ed impettito, in attesa di sapere se mi ritira il distintivo per malattia mentale o se mi sbatte direttamente nella gabbia di sotto per stupro.

Sono un uomo fortunato, di due, nessuna delle due ha fatto la stronza, congiuntura astrale più unica che rara.

Riprendo a respirare nel momento in cui lui mi rivela cosa vuole da me. Un marito sta prendendo a calci la porta di casa dove la moglie si è rinchiusa dopo averlo sbattuto fuori. Devo andare a fermarlo. E possibilmente riportare la pace coniugale. E condominiale, soprattutto.

Cazzo, lo sapevo. La strizzacervelli. Sei proprio un uomo senza palle, Capo. Al tuo posto io la terrei così impegnata, quella bella bocca che si ritrova, che col cavolo che ti racconta che uno dei tuoi più promettenti sottoposti è fuori di melone.

E adesso solo liti domestiche mi affibbi.

Che ci vada una pattuglia, a sedare i bollenti spiriti dei due vecchi, tento di contrattare. Secco diniego del testone pelato del Capo.

Dicono che gli uomini perdano i capelli per il troppo testosterone, ma tu mi sa che sei impotente, se la tua ragazza (troia)  ha tempo di raccontarti di me, quando siete assieme.

E Fabbri? Non potrebbe andarci Fabbri? Tanto con le sue ultime performance potrebbe essere la nostra punta di diamante per le emergenze familiari. Va ad insegnare al marito di turno come far così tanta pena da convincere la moglie a riaprire la porta, e se proprio non funziona potrebbe piagnucolare insieme a lui. Fabbri, la roccia, maestro di vita.

Mi rendo conto che pronuncio ogni tentativo di scavarmi di dosso questo incarico con voce sempre più alta e sento le mani tremare, le serro a pugno per fermarle ma il gesto non sfugge affatto al Capo, che mi chiede se vada tutto bene. Gli urlo in faccia che sto bene. Va tutto bene. E’ solo che ho qualche problema a dormire, ultimamente.

Tutto sommato sono riuscito a liberarmi da quell’infamata dei due vecchi litigiosi, visto che decide di concedermi una settimana di ferie non richiesta.

Bene. Forse tutto sommato non è una brutta idea. Mi riposo, mi riprendo, mi prendo cura di me, un bel giro in moto, chissà, potrei andare in Umbria, magari. Adesso però mi limito a salire sui colli e godermi questa inaspettata libertà. C’è il sole, ed in autunno si tingono di ogni tonalità dal giallo al rosso. Rosso. Come quel buco che sembra un fiore. Di carne. Con spine bianche che ne trapassano il centro. E che nei miei sogni (incubi) diventa nero. Un buco nero. Una voragine. Che si affaccia sulla mancanza di tutto.
I Calanchi dei colli bolognesi. In autunno sono grigi
e spogli, e strisciano verso valle come dita scheletriche



Alberi spogli mi corrono incontro, per poi superarmi e sparirmi alle spalle, mentre la strada stretta segue il profilo dei calanchi, che, a guardarli ora con il sole basso dietro S. Luca, sembrano trasportati qua dalla Luna. Grigi, nel rosso di questo tramonto autunnale. Sgraziate e scoscese argille, plasmate da ere di pioggia, che strisciano sul fianco del colle fino a valle come dita scheletriche (o costole spezzate).




11.

Chiudo la città fuori dalla porta e fisso il catenaccio. Non riuscirà ad entrare.

Controllo il cucinotto. Nessuno.

La camera da letto. Nessuno.

Il bagno. Nessuno.

Cazzo, la tenda della doccia si muove.

Un balzo felino e la strappo via dal tubolare che la sorregge. Nessuno.

Stai andando a pezzi, te ne rendi conto?

La televisione mi fa compagnia. La lampada è ancora a terra, rotta. Il soggiorno è vuoto, come tutta la casa. Apro una birra, incollo le labbra al collo della bottiglia. Un formicolio alla nuca, qualcuno mi sta fissando. Mi giro di scatto. Nessuno? Eppure mi pare che qualcosa si sia mosso, ma non c’è nessuno. Scaglio la bottiglia ormai vuota contro la parete. Vetri infranti tintinnano fin sul pavimento. Quello del piano di sotto batte con la scopa sul soffitto, per intimarmi di non far casino.

Si fotta.


12.

Goccia dopo goccia ogni colore del mondo scivola dentro al buco. Rosso. Che lentamente, con tutti i colori che si mescolano al suo interno, si tinge di nero. Nero. Un buco nero. Aperto sul nulla. E sul fondo del buco l’orrore.

Ecco dove ti nascondevi, piccolo bastardo.

Contorto, distorto, caricatura di un minuscolo uomo. Mani artritiche ornate da unghie ritorte graffiano la parete di quel nulla nero. Testa troppo larga per spalle rachitiche. Un piccolo, osceno mostro. Che vive sul fondo di quel buco. Nero. Sia il mostro che il buco.

Che stupido. Con tutte le sue lauree pensava di catturarti con trappole per topo?


Non esiste una trappola che possa catturarti, ma io so come fermarti. Ora lo so. 


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